Il grano può essere a ragione considerato, insieme all’olio extravergine di oliva, un pilastro essenziale del modello alimentare Mediterraneo
In Italia, il sud in testa con Puglia, Basilicata e Sicilia, il sole rende il grano duro al momento del raccolto perfettamente maturo, asciutto, quindi non in condizioni di sviluppare micotossine: un grano di alta qualità.
Il grano invece, che importiamo da paesi con un clima più freddo del nostro, come Russia e Canada, spesso viene trattato con fitofarmaci in pre-raccolta (in Canada si utilizza regolarmente il glifosato, come disseccante, prima della raccolta), operazione da noi severamente vietata.
L’Italia dispone di superfici che possono soddisfare quasi per intero il fabbisogno del nostro Paese.
I 600 mila ettari non coltivati nel sud potrebbero produrre grano duro per aumentare notevolmente il nostro grado di auto approvvigionamento.
Il prezzo per il grano duro di 50 centesimi al chilo, per un prodotto come il nostro è da considerarsi equo, i nostri agricoltori hanno costi di produzione pari ad almeno 25 centesimi al chilo (un chilo di pane costa circa 3 euro) è una scusa strumentale considerare questo prezzo eccessivo.
In questi anni il prezzo del grano duro è sceso anche a circa 20 euro al quintale (antieconomico da produrre).
Partendo da una analisi seria, andrebbe modificato il Regolamento CEE 1881/2006 (voluto fortemente dalle lobby) portando il parametro del DON (rischio di contaminazione della granella da micotossina deossinivalenolo causata da alcune specie del fungo Fusarium) a non oltre 500. In Canada questo parametro è di 1000, in Europa è di 1750 parti per miliardo. Riducendo il parametro delle micotossine consentite nella granella a non oltre 500, si andrebbe a ridurre le importazioni dall’estero anche in periodi di libera concorrenza.
Orlando Luigi Vella (Giornalista/Pubblicista/Agrotecnico)